Danno da ritardo della p.a. tra indennizzo e risarcimento. Legge sul procedimento amministrativo
e Decreto del Fare a confronto.
Nel coacervo di novità
introdotte dal recentissimo d.l. 69/2013, meglio conosciuto
come Decreto del
Fare, non poteva non smuovere gli animi l'ennesimo tentativo
dell'Esecutivo di �responsabilizzare� l'operato della
pubblica amministrazione.
Il riferimento è dato
dall'art. 28 del decreto legge, a tenore del quale, a fronte
di un ritardo della pubblica amministrazione nell'emanazione
dei provvedimenti amministrativi, nascerebbe l'obbligo di
indennizzare gli imprenditori in attesa del fatidico
responso, per un importo che va da un minimo di 30,00 sino
ad un massimo di 2.000,00.
Si badi, si tratta ancora
di una fase di monitoraggio di diciotto mesi pensata come
palliativo alle esigenze economiche dell'imprenditoria
italiana duramente colpita dalla crisi.
L'interrogativo di fondo è
il seguente: quando scatta tale indennizzo e in quale
rapporto si pone con la tutela risarcitoria ex art. 2, comma
1, l. 241/1990?
Orbene, tale indennizzo
sarebbe dovuto una volta scaduti i termini fisiologici per
la conclusione del procedimento. Sarà pertanto l'interessato
a dover attivare il potere sostitutivo, sia per ottenere
l'emanazione del provvedimento- ammesso che la p.a. si scomodi ad emetterlo! - sia
per ottenere l'indennizzo richiesto. A fronte di una
ulteriore inerzia del funzionario titolare del potere
sostitutivo, l'istante potrà decidere di attivare lo
strumento giurisdizionale previsto ex art. 117 c.p.a. nel
quale può confluire la richiesta di indennizzo.
Dal tenore della norma,
sembrerebbe che il diritto all'indennizzo sia ancorato alla
proposizione dell'azione avverso il silenzio. In senso
contrario, si dovrebbe affermare la possibilità di proporre
un'autonoma istanza di indennizzo al pari dell'autonoma
azione di condanna al risarcimento del danno ex art. 30,
comma 4, c.p.a.
Seguendo questo filone
interpretativo, automaticamente si esclude la sussistenza di
una pregiudiziale intesa quale necessità del previo
esperimento dell'azione avverso il silenzio ex art. 117
c.p.a. (in mancanza di un espresso provvedimento della p.a.)
ovvero dell'azione di annullamento in caso di provvedimento
tardivo sfavorevole.
Nulla quaestio, invece, in
presenza di un provvedimento tardivo favorevole, dal momento
che il privato non avrebbe alcun interesse ad ottenere
l'annullamento del provvedimento,considerato che la spettanza del bene finale della
vita -condicio
sine qua non del risarcimento - emerge ictu oculi dal
contenuto positivo dell'atto della p.a. (Sticchi Damiani,
�Danno da ritardo e pregiudiziale amministrativa�).
A quanto pare, si
prospettano due possibilità di scelta per l'interessato: una
tutela amministrativo-stragiudiziale attraverso
l'attivazione del potere sostitutivo in capo al funzionario
individuato dall'organo di governo ex art. 2, commi 9bis,
9ter l. proc.amm., ovvero una tutela giurisdizionale dinanzi
al giudice amministrativo.
Ed è proprio qui che emerge
la ratio della norma: predisporre una corsia preferenziale
costituita dalla tutela amministrativa, sicuramente più
snella e �semplificata� rispetto a quella puramente
giurisdizionale, destinata adassurgere ad extrema ratio di cui il privato può
avvalersi.
Ancora. Qualora
l'interessato decida di invocare in via diretta la tutela
giurisdizionale con ricorso ex art. 30 c.p.a., bypassando
così la fase sostitutiva, si integrerebbero i presupposti
per un concorso colposo ex art. 1227 c.c. con la p.a.?
A tal fine, risolutiva di
qualsiasi dubbio, è la pronuncia n. 684/2011 del Consiglio
di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia, con la
quale si è negato che ciò configurasse un comportamento
colposo del privato. Del pari, lo stesso principio dovrebbe
trovare applicazione in via analogica anche nell'ipotesi in
cui il soggetto interessato ad ottenere l'indennizzo, decida
di non attivare il potere sostitutivo bensì di invocare
direttamente la tutela giurisdizionale ex art. 117 c.p.a.
Attenzione. Non sfugga la
fondamentale aggiunta del comma 2, operata dall'art. 28 d.l.
69/2013 all'art. 2bis l. proc. amm., con la quale si
introduce il diritto all'indennizzo � unitamente al
risarcimento del danno � per il mero ritardo nella
conclusione del procedimento amministrativo, unicamente per
i procedimenti ad istanza di parte per i quali sussiste
l'obbligo di pronunziarsi, con esclusione delle ipotesi di
silenzio qualificato e dei concorsi pubblici. Nel qual caso
vengano accordati entrambi, l'importo dell'indennizzo dovrà
essere detratto da quello riconosciuto per il risarcimento
del danno.
Dunque, per rispondere
all'interrogativo iniziale circa il rapporto intercorrente
tra risarcimento e indennizzo, occorre considerare che: a)
il risarcimento del danno da ritardo è dovuto nelle ipotesi
di perdurante inerzia della p.a.; b) il diritto
all'indennizzo è dovuto per quei procedimenti amministrativi
attivati su iniziativa d'ufficio nonché su iniziativa di
parte esclusi dal meccanismo del silenzio qualificato. E'
evidente che si tratta di un ambito di applicazione
estremamente più ristretto rispetto a quello che la norma
lascerebbe presagire.
E sotto il profilo della
responsabilità?
Dalla lettura dell'art. 2,
comma 9, l. proc. amm., si rinviene una responsabilità
amministrativo-contabile del dirigente e del responsabile
del procedimento, che abbiano cagionato un ritardo
nell'emanazione del provvedimento dovuto. In caso di
ulteriore ritardo nella fase susseguente, la responsabilità
dovrebbe ricadere sul nuovo responsabile del procedimento
ovvero sul soggetto titolare del potere sostitutivo.
E' proprio questo il punto:
l'incertezza della norma reca con se uno strascico di
perplessità laddove non si riesca a comprendere se tale
responsabilità, in fase successiva, sia da ascrivere solo ed
esclusivamente al responsabile protagonista della medesima
fase, o in aggiunta, anche al responsabile della prima fase
�ordinaria�.
Un dato è certo: il danno
erariale arrecato dai dipendenti alla p.a. dovrà essere poi
deciso in sede di contenzioso dinanzi alla Corte dei Conti.
A ben vedere, ci troviamo
difronte ad un vero e proprio circolo vizioso: p.a. che
causa un danno agli imprenditori; funzionari che a loro
volta, con il loro operato, arrecano un danno alla p.a.;
imprenditori
impazziti che potrebbero arrivare davanti al TAR anche per
soli 30,00.
Con quale risultato?
Mettere per l'ennesima volta le mani nelle tasche dei
cittadini.