Come tutto può finire

 Come tutto può finire

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Di novembre e poco più che ventenne con una amica, in macchina cerchiamo un posto poco frequentato; senza meta infine giungiamo in mezzo ad un bosco.

Erano le quattro del pomeriggio e mentre ci prende molto quello star da soli, ci accorgiamo che il tempo peggiora e giù fulmini e tuoni da far paura.

Riprendiamo il cammino verso la valle e il mare avviandoci verso un paesino a mezza costa.

Vediamo una vecchia “Seicento Fiat” accostata ad un lato della strada con le ruote di destra nella vecchia cunetta. La affianco in prossimità di un ponticello in pietra come si usava nelle vecchie strade; noto che in macchina c’è qualcuno, un signore piegato con la testa sul volante ed una donna al suo fianco. Penso che abbiano problemi e mi fermo ed a marcia indietro mi accosto anche io al muretto prima del ponticello; scendiamo io e la ragazza e ci avviciniamo allo sportello della macchina targata Torino.

Il signore al volante mi guarda e non dice nulla solamente noto che ha gli occhi pieni di lacrime e la donna al suo fianco, probabilmente la moglie, fissa fuori dalla automobile un punto imprecisato, con una bambina in braccio.

Chiedo se qualcuno si sente male ma il signore al volante scuote la testa e dice: ..non ce la faccio, non ce la faccio.

Provo a parlare con la donna e le chiedo se c’erano problemi; lei non rispondeva anzi con il capo negava. Dissi loro che avrei io guidato la Seicento e la mia ragazza avrebbe guidato la mia macchina fino al paesino vicino che mi avevano detto essere il loro.

L’uomo si trasferisce nella mia macchina guidata da Francesca ed io a guidare la loro. Dopo due chilometri arriviamo al paesino e posteggiamo in uno slargo quasi al centro del paese davanti ad una scala esterna dalla quale si raggiungeva un appartamento.

Una scala costruita da poco, scalini di marmo, probabilmente una tipica casa fatta da un emigrato come si usava; scendiamo dalle macchine, in piazzetta c'erano dei vecchietti che salutano me e la ragazza come è d'uso da queste parti ma niente altro; i signori soccorsi non vogliono saperne di salutarci così saliamo la scala.

Vogliono offrirci qualcosa in casa loro, saliamo la scale ed il signore  apre un portoncino ben fatto di alluminio anodizzato; entriamo in un appartamento arredato di tutto punto con mobili come quelli prodotti in Brianza, ma si sentiva odore di chiuso.

La mobilia era coperta da lenzuoli come si usa per difenderla dalla polvere; presi in braccia la bambina taciturna e serena ed anche il padre si era rasserenato e la moglie ci sembrava ormai tranquilla.

Avevano superato la crisi  e parlavano con noi del tempo e del più e del meno; ci offrono della Vecchia Romagna in un bicchierino preso dalla cristalleria un pochino impolverato; non andiamo per il sottile, beviamo un goccio ma si era fatto tardi e ci accomiatiamo dalla famigliola, io e la ragazza soddisfatti di avere risolto un problema al prossimo.

Accompagno la ragazza a casa sua, ci diamo gli ultimi baci e ci salutiamo sorridenti e gratificati dalla buona azione e lei fila via di fretta, perchè i suoi familiari avevano ospiti e doveva dare una mano alla mamma.

Una bella giornata, un poco faticosa ma soddisfacente e me ne vado a letto.

Alle 2 di notte squilla il telefono da tavolo: era la mia ragazza che dice un ciao appena accennato e comincia ad ansimare a spiccicare …..qualche parola sconnessa; sentivo il suo respiro ed a fatica la ascoltai che diceva …la moglie del signore…anche….e la bambina…anche.

La incoraggio le dico di calmarsi e riesce a dirmi…è terribile …terribile.

Riesco a capire. A tavola gli ospiti conversano di una disgrazia di cui in quel giorno cadeva l'anniversario, di una disgrazia accaduta due anni prima ad una coppia di operai emigrati a Torino; tornati per una vacanza nel loro paesello per una manovra errata, non avevano imboccato il ponticello ma si erano infilati fra il muro ....e la scarpata ed erano precipitati giù nel burrone; erano tutti morti nell’incidente, padre moglie e la figlioletta.

La macchina era una Seicento blu targata Torino e quelle persone abitavano nella piccola piazzetta del paesino che avevamo visitato. Poverini, dicevano gli ospiti, avevano appena finito di costruire la loro casa nuova fatta con tanti sacrifici da operai emigrati, arredata di tutto punto con i mobili comprati al nord.

Da quel giorno non ho più rivisto la ragazza.

Franco Petramala