Caro Massimo

il Fondino del 02 Ottobre 2012

Caro Massimo

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c’è poco da temere il giudizio di piagnoneria o di superficialità nella denuncia di insufficienza del sistema Calabria che tu hai fatto con una lettera a Corrado Augias e pubblicata sul quotidiano “La Repubblica”.

Ho apprezzato la essenzialità del tuo scritto sul sistema mafioso;  nel progetto, che quella denuncia indica, sostieni  la opportunità che gli onesti e le persone perbene o, direi meglio le persone di buona volontà, prevalgano nel quotidiano, perché riescano a proporre un punto futuro prossimo all’umanità.

Non ritengo di farti torto se aggiungo alla tua sintesi una osservazione.

La organizzazione mafiosa, la stessa cultura mafiosa, il costume mafioso non c’è unicamente in Calabria o in Sicilia o in Campania. Non lo è oggi e non lo è stata ieri: basta leggere i “Promessi sposi” con attenzione e senza pregiudizi, per accorgersi che quel mirabile  romanzo descrive la società milanese del seicento con le figure del mafiosetto di paese che è don Rodrigo, il mafioso importante che è l’Innominato, il mafioso reggitore della cupola che è il Conte Zio, per non parlare dei bravi come picciotti, e dell’Azzaccagarbugli, dell’Egidio esecutore di spiate e del Don Abbondio che a giorni alterni ubbidisce alla sua coscienza o cede davanti alle minacce dei potenti, barcamenandosi alla “belle e meglio”, figura non lontana da quella di tanti prelati che anche oggi a volte  si inchinano a chiunque glielo imponga e a volte tuttavia inorgogliscono per la pressione morale, insopportabile, che opera il loro magistero.

Non è argomento vacuo o consolatorio. È che il tuo richiamo agli onesti doverosamente deve avere una platea ben ampia fino a coinvolgere proprio quella gente comune a cui tu ti riferisci perchè il costume mafioso, tante volte non solamente passivo, lì si annida.

E vi si annida per esempio quando, avendone la opportunità, quella platea sceglie a propri rappresentanti chi meglio interpreta la promessa di farti uscire dal bisogno con la disponibilità a corrisponderti con favori, piccoli e grandi, perfino  munificenze, alla maniera delle richieste al “Don Corleone”, senza porsi il quesito se quel cedere al sistema, non salvaguardi e non rafforzi proprio la perversione del sistema.

Ecco, la parte difficile non è quella giudiziaria e repressiva del fenomeno, già di per sé complessa. La parte difficile riguarda il livello delle coscienze proprio degli onesti e delle persone di buona volontà, la previsione di ciò che potrebbe succedere, una immagine qualsivoglia di “liberi e dei forti”, di cui si sente tanto la mancanza proprio nel mezzogiorno, dove quella espressione straordinaria è nata, guarda caso da uno spirito profetico e  coraggioso come quello di Luigi Sturzo.

Franco Petramala

*In occasione di una lettera aperta di Massimo Cosentini a Corrado Augias sulla Repubblica del 13 settembre 2012