I nuovi Arabi

 

il Fondino del 22 Luglio 2012

I nuovi Arabi

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I nuovi Arabi “L'avvenire della civiltà dipende dal compito che i Cinesi si assumeranno in questo secolo”, pronunciava Mussolini con la solennità della divinazione, nel 1934.

Ma oggi il “pericolo cinese” si è ormai consolidato ed è divenuto familiare nel lessico quotidiano e nella pratica commerciale, presso le istituzioni e gli imprenditori, presso sociologi ed economisti, anche presso gli avventurieri, come elemento di confronto permanente.

Un altro fenomeno sociale, geoeconomico e geopolitico, ancor più rilevante e nello stesso tempo intellettualmente più intrigante, va profilandosi rapidamente.

 Dal 1500, anno più anno meno, la cultura araba, fino ad allora così intimamente legata a quella cristiana, deviò dal sentiero comune.

L’occidente cominciò ad utilizzare la scienza inducendola a produrre “cose” attraverso la tecnica, per produrre strumenti di utilità, sicchè nella stessa diffusione della conoscenza si accreditò, accanto al tema della metafisica e della ontologia e della teologia, la gnoseologia e la logica, il senso “morale” della scoperta fisica del mondo, con i grandi viaggi, le sfide e le intraprese tecniche mai tentate; la organizzazione sociale finalizzata alla produzione dei beni artigianali e alle attività commerciali, divenne un imperativo etico sussunto anche sotto una “species” religiosa della Mittle Europa.

L’esempio di Leonardo è emblematico: dalla scienza alla tecnica teorica alla tecnica pratica.

Il mondo arabo non seguì la medesima strada ed il suo sviluppo si territorializzò e la tecnica rimase fuori dai suoi orizzonti culturali e quotidiani.

L’equilibrio fra i due mondi si consoliderà dalla metà dell’ottocento, allorchè l’occidente industrializzato, avendo bisogno di energia e di quella fossile in particolare, offrì al mondo arabo di acquistarlo, non avendo motivo lo stesso mondo arabo, definitivamente acquartierato socialmente nel contesto tribale, di negare lo scambio perché quel bene non gli sarebbe comunque servito.

Un esempio per tutti: in Cina esisteva e veniva utilizzata la polvere da sparo da molto prima che in Europa, addirittura lo testimonia Marco Polo, ma furono i Portoghesi a mostrare ai Cinesi come utilizzarla per i cannoni.

 Ma il distacco del mondo arabo dalla assonanza culturale con l’Europa cristiana, presente dall’alto Medio Evo, esaltata dalla attività mediatoria ed inclusiva di Federico II, si è appalesata in modo eclatante allorchè, dai postulati della filosofia Kantiana, si è andato affermando il liberalesimo, lo stato di diritto, l’economia capitalistica, i processi autonomi di accumulazione del capitale, la stessa presa di coscienza dei lavoratori, indispensabili protagonisti dei processi dello sviluppo economico e che determinava il progresso del sociale, quale lo conosciamo sotto forma di Welfare State.

Da un anno o poco più stanno avvenendo nel mondo arabo fatti eclatanti, perché non previsti e non prevedibili, caratterizzati da forme di consapevolezza di quei popoli del vantaggio di condizioni di vita nella libertà e nella negazione delle strutture politiche tribali e ritagliate sul sistema verticale e verticistico di quelle società, rimaste fedeli ai regimi del vassallaggio.

Si da cioè il caso che le rivoluzioni delle così dette “primavere arabe” stiano mostrando il carattere di rivoluzioni che si propongono di aprire alle caratterizzazioni socio politiche dei fondamenti dell’occidente, a quelle forme di partecipazione e di responsabilità delle democrazie dell’Europa cristiana, secondo la descrizione di Cesare Balbo.

 Dal 13 gennaio 2010, giorno della fuga di Ben Ali dalla Tunisia, al 11 febbraio 2011 giorno della deposizione di Mubarak in Egitto, al 20 ottobre 2011 uccisione di Gheddafi in Libia.

Proteste in Algeria del 2010-2011, in Algeria nel 2011, Proteste in Bahrain del 2011, Proteste a Gibuti del 2011, Proteste in Giordania del 2011, Proteste in Iraq del 2011, Proteste in Kuwait del 2011, Proteste in Libano del 2011, Proteste in Marocco del 2011, Proteste in Mauritania del 2011, Proteste in Oman del 2011, Proteste nel Sahara Occidentale del 2011, Proteste in Sudan del 2011, Proteste nello Yemen del 2011, in attesa oggi della fine del regime di Assad in Siria.

La uniformità della diffusione del virus rivoluzionario, la sua cadenza, indica una tendenza alla uniformità di obiettivi e, nel tempo, un analogo processo riformista verso la democrazia, quasi un ricongiungimento a quella civiltà dell’Europa cristiana, da cui il mondo Arabo si distaccò 500 anni fa.

E’ un passo successivo ai processi di globalizzazione e questa volta la caricaturale presentazione delle performances degli sceicchi ricchissimi ma controllabili dal sistema finanziario occidentale, non si ripeterà e si presenterà al mondo il tema della pervasività delle istituzioni della democrazia matura nel mondo arabo; da essa potrebbe partire una nuova cultura del lavoro e della organizzazione istituzionale, della progressiva divisione fra i temi laici della democrazia e le predicazioni teocratiche sulla indistinzione del potere politico e di quello religioso e di casta. L’esito sarà inevitabilmente l’apertura del mondo arabo ai processi produttivi e alla organizzazione su quei territori di segmenti industriali destinati al largo consumo.

La nuova comunità araba, rinnovata nelle sue aspirazioni socio politiche, potrebbe chiedere, in cambio degli scambi commerciali energetici, una corposa delocalizzazione delle attività industriali europei, ad iniziare dal trasferimento del know how.

Le conseguenze per l’Europa saranno rilevantissime. Dopo la caduta del Muro di Berlino, dopo la irruzione degli anni ’70 della Cina concordata con gli USA, dopo la novità della esplosione del PIL in Paesi come Brasile e India, i tempi nuovi aspettano una risposta a questa sfida ulteriore nella storia dell’umanità.

 Poiché non abbiamo compreso appieno quel che negli ultimi 40 ani è avvenuto in Europa e nel mondo, sarebbe opportuno che, accanto agli studi econometrici e gli studi sull’andamento delle Borse e dell’andamento delle quotazioni della moneta e dei deficit pubblici, rivivesse l’approfondimento del “futuribile”.

Franco Petramala