Vogliamo dirla tutta?

il Fondino del 26 Settembre 2012

Vogliamo dirla tutta?

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Dopo l’impressione suscitata dalla vicenda della Regione Lazio, temo che le motivazioni ci siano tutte, che la situazione soffra ormai spunti di drammaticità finanche superfluo raccontarle, la dissoluzione delle Istituzioni è sotto gli occhi di tutti e la impotenza diffusa a reagire degnamente, anche.

Qualcuno sostiene che non siamo giunti ancora al punto di crisi acuta e finale e quindi di non ritorno e per questo motivo la tendenza o la tentazione è quella di appoggiarsi gli uni agli altri allo scopo, cinico quanto si vuole, di perpetuare il sistema nel tentativo di limitare i danni della rovinosa caduta.

C’è anche chi invece sostiene la inevitabilità del costume italiano di rinviare la soluzione, per individuarla alla fine di un percorso di consunzione, con la giustificazione di evitare la eliminazione anche della buona politica.

Entrambi gli atteggiamenti sono fondati su convinzioni consolidate e preoccupante è la riprovazione bipartisan generalizzata;  da parte di chiunque e da qualunque parte politica. Così come nessuno si meraviglierebbe se domani o dopodomani esplodesse scandalo in tante altre Regioni.

Non è lo scandalo per le spese incontrollate dei Consigli regionali che attrae la riflessione, ma in effetti  la inconcludenza della politica, dei programmi dei partiti politici e quindi delle istituzioni.

Sarebbe stato opportuno affrontare il tema dell’ammodernamento e dal rinnovamento della organizzazione istituzionale dello Stato e delle sue articolazioni, in occasione o prendendo spunto proprio dalla crisi economica che sta travolgendo e condizionando gli assetti sociali e la vita stessa della comunità nazionale. Invece è come se si fosse lasciata la situazione ad incancrenirsi con la disattenzione più disinvolta da parte dei partiti nella selezione della classe dirigente e della innovazione nei contenuti e nei modi di realizzarli.

Si sta affrontando la crisi complessiva lasciando che si disarticoli il tutto. Il fatto è che se gli orientamenti di intervento fossero espliciti, ci sarebbe comunque la creazione di una dialettica diversa fra parti politiche che attorno a quei temi si atteggiassero e si costituissero anche sostituendo chi fra le formazioni politiche dovesse mostrarsi in forte ritardo.

Non abbiamo mai creduto alla bontà del dibattito sul federalismo fiscale, perché la crisi della economia e la supremazia delle regole del mercato finanziario non poteva e non può convivere con le complicate “alchimie” di uno Stato delle Autonomie locali, di uno stato articolato secondo le esigenze del protagonismo del popolo distribuito sul territorio con le proprie peculiarità.

La crisi del sistema economico produttivo, dominato da quello finanziario e dei mercati, impone uno Stato che perda sovranità in favore di Istituzioni Sovranazionale, non importata se male organizzate, quindi che si renda  più unitario possibile perché alla unità o meglio alla unicità del suo governo si attribuisce una maggiore efficacia delle politiche dirigistiche nei confronti di un popolo tornato suddito, sottoposto a rinunce anche gravissime rispetto al suo modo di vivere e di campare ed allo stesso utilizzo degli strumenti del Welfare.

Insomma la scandalosa conduzione degli Enti locali territoriali ad elezione diretta sta dando la possibilità agli avversari dello Stato articolato per istituzioni autonomistiche di rivendicare la inutilità di un simile Stato.

I Comuni sul lastrico, strumento di governo insufficiente ed inconcludente, senza risorse, indebolito nei confronti con la cittadinanza.

La riduzione drastica delle Provincie che dà l’idea di una dissoluzione del disegno costituzionale dello Sato unitario ma articolato.

E’ aperto ora il processo che porterà al dissolvimento della Regione come articolazione dello stato democratico e costituzionale, che già ebbe difficoltà  ad essere regolamentata soltanto nel 1953 con la Legge Scelba, per poi realizzarsi solamente diciassette anni dopo.

Le Regioni saranno travolte da scandali senza fine.

Il resto appartiene alla inevitabile e peraltro incontrovertibile cronache di questi giorni e di quelli avvenire.

La speranza è che si riesca a difendere lo Stato “costituzionale” poiché rimane  pericoloso per la democrazia l’approdo ad un altro Stato brutalmente accentratore.

Franco Petramala