Astruserie

il Fondino del 22 Ottobre 2013

Astruserie

A San Gimignano si ne contano tredici Torri medioevali. “Si dice che nel Trecento ve ne fossero settantadue, almeno una per ogni famiglia benestante, che potevano così mostrare, attraverso la costruzione di una torre, la loro potenza o influenza”.
La torre in epoca medievale era il massimo simbolo della potenza che solamente i ricchi potevano realizzare, visti gli alti costi e così divenendo il discrimine fra i ceti di maggior peso.

Ma non fu sempre così.

Comunque l’intenzione non è quello di curiosare, qui, sulle vicende degli assetti urbanistici e di potere della Toscana dell’alto e basso medioevo.

Piuttosto chi volesse esercitarsi, troverebbe modo e maniera di descrivere paralleli significativi, come dice il mio amico archeologo Giuseppe Roma, fra la esigenza di costruire una torre sulle colline del vino buono in Val  d’Elsa,  e la esigenza nell’Italia di oggi di realizzare un partito.

Partitino o partitone, questo dipende dal capo e dal finanziatore, sempre però in nome della libertà e del pluralismo democratico, del liberalismo, della diga allo statalismo per non esagerare sulla idea del “bene comune” e contro ogni forma di espressione autenticamente collettiva, considerata la deformazione del cittadino, cui viene attribuito di tutto; dai diritti alla gratificazione di sentirsi parte di un futuro, non importa se tale futuro è proprio quello del cittadino o quello dei furbetti che glielo fanno credere.

Se fossi nella Stoa ragionerei così.

Si dice che un partito sia una organizzazione che rappresenta una parte della società, una porzione di opinioni sulla società e sulla organizzazione del governo della comunità e quindi rappresenta una parte del tutto.

Da qui la avversione, quasi nietzschiana ( ? ), ad orni forma di intuizione che neghi l’assoluto, o meglio il valore sintetico dell’unità spirituale dell’uomo che contiene i germi dell’assoluto.

La sensazione è a volte la tentazione di confermare la insufficienza del partito a legittimarsi come fonte organizzativa di un società che, per essere tale, si deve pur riconoscere complessa e plurale.

Se cioè la società è plurale e complessa, come può essere che una entità parziale come il partito politico possa rappresentarla?

La osservazione è ragionevole nella sua logicità formale ma è altrettanto deficitaria nella parte in cui il ragionamento non aggiunge che proprio perché partito, esso non può che immaginare di non essere solo, di essere cioè in concerto con altri partiti.

Il Partito è parte di un tutto complesso per definizione e quindi richiama  la previsione di più partiti.

Si dirà: ma è un modo per sfuggire alla contraddizione che solamente la guida unitaria può suggerire fiducia e spirito umano ad una umanità che aspiri ai valori. E sia pure!!

Cioè i partiti sono il modo di organizzare la complessità.

Naturalmente sempre che si sia d’accordo sul pluralismo e sulla molteplicità in un orizzonte che racchiuda il divenire del cammino della società, come ribadiva spesso Aldo Moro.

Sempre che si sia d’accordo nel ritenere che non solamente i ricchi e i benestanti possano fondare o sostenere o orientare un partito, partitino o partitone che sia, come viceversa non succedeva per le torri del medioevo italiano.

A ben vedere però, dalla pluralità di partiti non si raggiunge la grande idea fondamentale che orienta e accompagna la evoluzione della società.

Ahi voglia di mettere insieme il cieco ed il sordo !!

L’esperienza delle democrazie del novecento hanno mostrato il contrario.

Cioè dalla grandi idee sono nate i partiti. Sarà sempre così?  Non si sa.

Checchè se ne dica, meglio che si confermi quest’ultimo scampolo di filosofia idealistica; a scanso di equivoci e per non consentire oltre il sorgere pretenzioso di altre torri, per il sorriso di turisti stranieri incuriositi da questi variopinti e divertenti italiani.

 

Franco Petramala