A
darsi sempre del «tu» si può simulare «una finta familiarità
che rischia di trasformarsi in insulto» e di contribuire
alla «perdita della memoria» dell’Italia.
Lo sostiene Umberto Eco in
una lectio magistralis di metà settembre, riportata dall’Espresso.
«La lingua italiana – spiega -
ha sempre usato il Tu, il Lei e il Voi. Voi sapete che la lingua inglese usa
solo il You. Però contrariamente a quel che si pensa lo You serve come
equivalente del Tu o del Voi a seconda che si chiami qualcuno con il nome
proprio».
“Nella Roma antica, invece, si usava solo il «tu». ma in epoca imperiale
appare un Vos che permane per tutto il Medioevo e nella Divina Commedia
appare il Voi quando si vuole esprimere grande rispetto.Il
Lei si diffonderà solo nel Rinascimento nell’uso cavalleresco e sotto
influenza spagnola».
“Ma oggi è sempre più frequente l’uso del «tu»,
non solo fra bambini e giovanissimi. Da tempo a un giovanotto sui
quarant’anni che entra in un negozio, il commesso o la commessa della stessa
età apparente, cominciano a dare del Tu.
In città il commesso ti dà evidentemente del Lei se hai i capelli bianchi, e
possibilmente la cravatta, ma in campagna è peggio: più inclini ad assumere
costumi televisivi senza saperli mediare con una tradizione precedente, in
un emporiomi
sono visto trattato col Tu da una sedicennecol
piercing al naso, la quale è entrata gradatamente in crisi solo quando io ho
interagito con espressioni quali “gentile signorina, come Ella mi dice...”
Deve aver creduto che provenissi da Elisa di Rivombrosa, tanto mondo reale e
mondo virtuale si erano fusi ai suoi occhi, e ha terminato il rapporto con
un “buona giornata” invece di “ciao”, come dicono gli albanesi [...]».
Il Voi il Lei e
il Tu è stato sempre indice della insicurezza italica: è un trilemmairrisolto e la “lectio magistralis” di Eco lo mostra.
Confesso di aver notato il valore del pronome fin dalle elementari, non
solamente perché spesso i miei compagnetti di scuola lo usavano con tutti,
tranne che con la maestra e il prete, ma perché non mi andava di essere
ritenuto grande come gli adulti. Rivendicavo la mia fanciullezza ed ero
orgoglioso della mia età che all’epoca difendeva !
Era più forte di me dare del“tu” fuori dalla mia famiglia e dai miei amici.
Mi
colpiva, poi, che non in città, come riferisce Eco, ma anche in campagna il
contadino usasse il tu con tutti tranne che con il “padrone” e le persone
altolocate, ad iniziare, povero contadino, dalla guardia municipale che
indossava il cappello stemmato.
Seppi di Umberto Eco e un
poco lo conobbi a Parigi, in tempi lontani.
Intendiamoci, non fui così fortunato da stringergli la mano o da ascoltarlo
di persona. Lo conobbi indirettamente per un parlare amicale che una giovane
studiosa di sociologia della Sorbona, per di più francese, aveva con la
ragazza che era con me, italiana ma studiosa di filosofia teoretica, seduti
come eravamo allo stesso tavolo di un affollato ristorantino del quartiere
latino. Per puro caso.
La
francese sosteneva, con tipica sicurezza, che la intellettualità italiana,
siamo alla fine degli anni ‘70, non era percepibile, tant’è che lo spazio
della comunicazione di pregio intellettuale era monopolizzato dai “maîtres
à penser” francesi, ella diceva come
Glucksmann, Bernard Henry Levy, Michel Henri e gli altri.
Tuttavia aggiungeva che si poteva dare un qualche credito solamente ad un
giovane Umberto Eco che nel grigio panorama italiano si distingueva.
Naturalmente la referenza della ragazza mi colpì ed in seguito, a volte
distrattamente a volte con interesse meno labile, ho seguito le “narrazioni”
del semiologo.
Però è come se al
ragionamento stupito di Eco sull’uso del tu del Voi e del Lei, mancasse
qualche cosa.
Ho riflettuto ed è venuto
fuori.
Giovani e non giovani in
internet, luogo della prevalente comunicazione riflettuta o istantanea,
usano il Voi il Lei o il Tu?
Quel che manca al ragionamento di Eco è: possibile discettare sull’uso del
pronome in un negozio abitato da stranite commesse, ma non è possibile in
internet dove non usando il tu si rischia la pernacchia.