Il Mezzogiorno e la emigrazione

il Fondino del 03 Settembre 2015

Il Mezzogiorno e la emigrazione

Agazio Loiero ha pubblicato ancora sul Mulino di agosto alcune riflessioni sul Mezzogiorno. E’ fra i pochi che non sfugge il tema.

Suggestive e vere le sue riflessioni sugli esiti delle emozioni suggerite dalle scene più crude degli emigranti squassati dalle onde del mare e dalla disperazione di mani che cercano il soccorso.

La visione tecnocratica dell’oggi, pur unica in campo, sicuramente non genera un’etica della responsabilità collettiva e quindi incisive scelte politiche; essa sprofonda in esternazioni di convenienza, tendenzialmente senza emozioni, ispirate alla opportunità che la mano stesa ai poveri sia conveniente per i ricchi perché acquisisce gli emarginati ai processi produttivi, un poco come ai tempi della legge Le Chapellier.

Ma all’epoca della Rivoluzione francese si usciva dal feudalesimo per entrare nella fase della liberazione delle energie sociali collettive e individuali. Non a caso appunto si affermava il liberalesimo.

Oggi al contrario si è entrati, decisamente, in un nuovo feudalesimo che, concentrando la ricchezza in poche mani, genera una economia senza mercato.

Da qui la crisi planetaria delle economie e l’impoverimento materiale e immateriale del mondo, ormai tendenzialmente unico.

Figurarsi se può avere cittadinanza nel dibattito politico la riproposizione del mezzogiorno d’Italia o di quello d’Europa.

Ciò che suscita perplessità è quindi la proposta, pur impreziosita dalla sua stessa esigenza, della ricerca e dell’affermarsi di un “nuovo umanesimo” quale unico futuro “abitabile” per le nuove generazioni.

I partiti ideologici del periodo storico di prima della caduta del Muro di Berlino si contrapponevano vicendevolmente, tendendo contemporaneamente ad universalizzare il messaggio verso la società intera, nazionale e internazionale, verso le giovani generazioni in particolare.

Succede oggi la medesima cosa, mi sembra; solamente che nel passato meno recente erano i partiti a lanciare il messaggio politico; oggi, se si osserva senza pregiudizi, sono le nuove generazioni che inviano messaggi eloquenti e senza punti di mediazione.

Allora il tema è: “a chi sono destinati tali messaggi”?

Fra la decadenza dei partiti ideologici e l’oggi, che è caratterizzato dall’era della crisi collettiva, c’è la politica populistica, attori i partiti personali e quindi scatole vuote.

Ma torniamo ai messaggi eloquenti delle nuove generazioni.

Il primo messaggio è quello per il quale le differenze su cui si basavano le ideologie sono praticamente scomparse ed effettivamente, guardando il viso o la mimica o osservando il parlare dei giovani africani, c’è una rassomiglianza impressionante con i giovani europei ed occidentali. C’è una linea sempre più evidente che lega i giovani europei e i non europei, africani o latino americani che siano.

Analisi che abbiano compiutezza, non possono che partire dal dato della unicità delle aspirazioni e dei progetti di vita, non solamente ispirate dalle tendenze al consumismo ma anche allo sviluppo della compatibilità ambientale e del sistema della sicurezza sociale, avendo le ideologie passate sommosso ben bene il terreno della sensibilità politica perché proprio le sensibilità divenissero comuni pur in differenti contesti sociali e vissuti individuali.

Questa osservazione ci da la possibilità di individuare, quale soggetto politico possibile, quel soggetto che possa “ospitare e rappresentare”. Naturalmente al di là dei confini nazionali, di ogni nazione e di ogni paese!

C’era un politico visionario negli anni ’60, Giorgio La Pira che predicava il dialogo tra i figli di Abramo, condizione per un Mediterraneo pacifico, a sua volta strumento di amplificazione di messaggi fra i più umani, che includa oggi anche l’Africa sub sahariana.

Si consideri poi che il modello di sviluppo lineare del sistema industriale e postindustriale è in crisi profonda; le concentrazioni produttive lasciano il campo alle speculazione finanziarie mentre le attività del territorio, da quelle agricole a quelle artigianali in gran parte sono state dismesse, fra esodi e impoverimenti e la miriadi di opere incompiute.

Il modello non può essere la Polis come l’area antropizzata intensamente che includa la completezza delle attività umane, la forza delle istituzioni e caso mai la dovizia o la fragilità delle economie locali, perché essa contraddice la tendenza alla globalità che invece è da considerarsi inarrestabile.

E’ più congruo, invece, valorizzare il modello delle città sparse sul territorio, che poi è proprio della civiltà italica, costituite da piccoli aggregati tendenzialmente specializzati, che potrebbero federare non solamente le competenze specifiche ma anche la conoscenza, le loro tradizioni, il loro “genius loci”.

Ciò potrà essere possibile con l’uso del linguaggio interattivo delle moderne tecnologie di comunicazione a distanza.

Certamente, a questa Europa unita, con l’interesse costante rivolto alla perpetuazione del potere dinastico del nuovo medioevo, non sarà facile opporvisi; un motivo in più per consentire la realizzazione di un territorio dove la presenza di giovani di varia provenienza vivano in una unica comunità quanto più vasta possibile e quanto più segnata da punti di aggregazione.

I messaggi di riconoscimento di una identità non rigida ed invece inclusiva, a costo di modificare tradizionali opinioni, sembra il “leitmotiv” dei messaggi di Papa Bergoglio.

Ma la società civile sarà in grado di accettare di dismettere modi di pensare, il quotidiano, un certo tipo di benessere pur in crisi, per affrontare il “rischio” di nuove identità “, maggiormente inclusive?

O i movimenti integralistici e oltranzisti islamici di fatto si alleeranno nella sostanza con il conservatorismo occidentale intriso di buoni affari per pochi? L’osservazione non è una concessione alla teoria del complotto, pur rimanendone probabili gli esiti.

Se invece la prospettiva sarà una generica, colta quanto si vuole, ma pasticciata “nuova rinascenza” confinata negli angusti spazi territoriali nazionali o europei, o di razza bianca, appunti per una cultura fantastica rivolta all’indietro, si rivelerà espressione vacua e non ci sarà la riscoperta di una rinnovata etica civile e comunitaria.

Si moltiplicheranno le ragioni di polemica e avranno ragione coloro che certamente hanno torto, ovvero chi rivendica la difesa dell’etica tradizionale basata sulla identità territoriale.

D’altra parte se gli obiettivi li manteniamo ristretti e piccoli, nulla impedirà a chiunque di notare le incoerenze del predicare bene e del razzolare male.

Il percorso è ancora agli inizi. Tuttora ci dibattiamo nelle crisi di identità per cui rimaniamo nella logica del potere, tante volte citato da Shakespeare, per cui il delitto paga.

In assenza di quell’impegno politico forte, sarà la catastrofe perché sono invincibili gli arsenali della sopraffazione di cui i pochi dispongono: strumenti di condizionamento usati da chi è formalmente legittimato.

 

D’altra parte il rischio del professare politiche apprezzabili, non può identificarsi in azioni di recupero di piccoli spazi politici, seppur questi fossero consentiti.

Spesso mi sovviene l’intimo del profilo dei personaggi di Brancati che avevano grandi qualità per avere cognizione dell’animo umano, contrappuntate tuttavia dallo strabico senso della impotenza, così visibile nelle vicende umane proprio al Sud dell’Italia.

 

Franco Petramala