Soldati Italiani in Lettonia

il Fondino del 18 Ottobre 2016

Soldati Italiani in Lettonia

Per ora è un modo di giocare come nel gioco degli scacchi, la difesa alla siciliana o delle sue varianti. Schemi in parte prevedibili, condizionati stavolta da eventi e non da ideologie.

Dal 2001 migliaia e migliaia di morti e trucidamenti proprio ai confini della ricca grande Europa, geniale a volte, a volte meschina, l’Europa delle invenzioni, dell’arte del progresso civile e tecnico, delle squisitezze ed opulenze della pace, nonché delle nefandezze oscene, orme evidenti a marcare tale ambiguità.

La caduta del Muro di Berlino nel 1989 determinò sensazioni di benessere, mentali e civili, individuali e collettive,  illudendo tutti chi più chi meno, sul futuro del mondo.

Ha illuso soprattutto l’est europeo, il medio oriente ed i paesi mediterranei, tutti nessuno escluso, dalla Francia alla Spagna agli Stati del Magreb; l’illusione ha colpito duramente sopratutto l’Italia.

Paese pigro ed indolente per tradizione, si anima solamente davanti ai pericoli estremi, che alza la testa quando è molto tardi.

L’Italia è stato nel primo e nel secondo dopoguerra luogo di rinascenze rinnovate ideali morali e intellettuali e la genialità di pensatori artisti e politici hanno illuminato di prospettive l’avvenire.

Poi da quella data la gratificazione e il mancato rinnovo degli interessi per il dopo, come un vuoto torricelliano, come una bolla d’aria impenetrabile, hanno indotto assenza di proponimenti per il paese; da qui la crisi della politica e del suo svilimento e poi dal disprezzo per la res publica alla decadenza delle istituzioni.

Le Università in crisi non  producono che esigui filamenti di approfondimento e la scuola, di conseguenza, mostra il disagio del paese.

Parte degli operatori continuano a credere nella loro missione ma, delusi, spendono gli ultimi scampoli del valore civile della responsabilità.

Alcuni sostengono che la eliminazione del confine strategico lungo l’Adriatico, fra est e ovest, abbia determinato la decadenza dell’Italia, non più paese strategico, essendosi spostato quel confine a est, molto a  est fino al Kazakistan.

Può essere! di fatto però le crisi mediorientali e dell’insieme del mondo islamico sono un dato reale con loro proprie caratteristiche.

Le vicende planetarie non sono più scandite dagli equilibri tradizionali fra paesi produttori e paesi consumatori di petrolio.

Questa circostanza ed altre, insieme alla economia segnata dalla globalizzazione, più dalla parte della produzione che non dalla parte della commercializzazione sempre  controllata dalle multinazionali dei settori, hanno determinato la decadenza, segnata dalla eliminazione di gran parte dei così detti differenziali, spesso pubblicizzati come il segno del riscatto dei popoli.

La eliminazione dei differenziali di prodotto e di processo, quindi di mercato, ha messo in crisi il sistema capitalistico-liberale fondato sui due parametri della scarsezza e della abbondanza, entrambi fenomeni tendenziali, che hanno mosso da sempre lo sviluppo, almeno da quando il capitalismo moderno è prevalso sulle multiforme economie curtensi ed economie della sufficienza e della sopravvivenza.

Le notizie sul rafforzamento di nuovi presidi militari occidentali ai confini con la Russia stanno a significare un ritorno alla rivalità. Non si sa ancora su quali valutazioni, ma la rivalità torna di scena.

Paradossalmente però Occidente e Russia sono costretti dalle circostanze e dalle convenienze reciproche ad allearsi contro il terrorismo globale, di Al Quaida dell’Isis del ceceno e di quant’altri si organizzeranno, di cui è difficile indagare il perché ma di cui si avverte il senso come di una via d’uscita estrema al disagio sociale e quindi politico.

Ho avvertito qualche preoccupazione nelle persone all’apprendere quelle notizie, di per sé preoccupanti perché suscitano paure e i fantasmi di sempre.

Intanto l’economia non fornisce quelle prospettive di sviluppo in cui nel secolo passato si era confidato e non è avvertibile il modo come combattere il terrorismo dilagante e pervasivo al cui ricatto siamo ormai costretti.

Queste due condizioni potrebbero avere suggerito, senza intese esplicite, la nuova divisione del mondo, quasi consensuale, per renderne più controllabili gli eccessi nei territori e più produttivi i sistemi.

Da aggiungere poi la grande capacità produttiva di Cina e India e la grandissima capacità della prima di produrre senza la contemporanea crescita delle garanzie sociali del lavoro, almeno in maniera significativa.

Chissà se proprio l’obiettivo di rendere il mondo maggiormente orientato allo sviluppo rispetto ad oggi, non sia la ragione della suddivisione delle aree di influenza in una nuova modalità.

Se fosse così la paura rimarrebbe  ma il caos e le insicurezze nel futuro di tutti si allontanerebbe di molto.    

Et de hoc satis ? 

Franco Petramala