Tutti quegli ebrei inermi e tutti quegli altri deportati, visi emaciati
occhi grandi dilatati dal terrore e dallo smagrimento per fame e
sete, bambini vaganti nel fango del lager le mani stese alla
ricerca di un aiuto da chiunque, fosse anche dei carcerieri,
innocenti confidando nella pietà umana. Donne violentate e
maltrattate finché il corpo non si fosse ridotto a sterpi
rinsecchiti da scartare. E uomini lo stesso.
I più non ignoravano e spesso è così per le barbarie di oggi: “Forse che
non sapessero che il silenzio incoraggiasse il torturatore”?
(Elie Wiesel).*** Già, io non c’entro, ma è la coscienza che
testimonia il declino della degnità fino alla sua scomparsa.
Ma perché solamente dopo, nella memoria, diventando immateriale tutto
diviene riconoscibile? Perché non prima?
Non sono bastati e mai basteranno i resistenti alla barbarie, quelli delle
montagne, quelli che in segreto salvano vite future come quelle
dei bambini di sir Nicholas Winton o i soccorsi di Schindler o
di Palatucci.
Sarà il pianto senza lacrime dei torturati a morte e dei sopravvissuti:
nel silenzio abissale della disperazione più acuta della propria
esistenza espieranno le colpe di tutti.
Visitando Dachau ho seguito il volo dell’uccellino che da dentro a fuori e
da fuori a dentro della chiesa votiva aperta e spalancata verso
il cielo, chissà, indicava dove quei martiri abitassero.