di Paolo Cosentini
Solleticato dai recenti interventi di Franco Petramala, in particolare dalla lunga intervista rilasciata alla emittente LaC e dal suo ultimo fondino, vorrei tentare di trasmettere sinteticamente quello che provo da osservatore attento più ai risultati della politica che alla politica in sé come mondo di chi ci rappresenta e ci governa. Amministrare non è facile, anche io l’ho fatto e so quanto sia difficile amministrare.
Proibitivo in Calabria risolvere gli atavici problemi irrisolti e pochi, si rendono conto dei danni che procura il vecchio, stantio modo di fare politica. Ancora oggi esistono le conventicole che governano il presente senza avere alcuna seria considerazione per il futuro. Alle regionali avremo certamente un minore astensionismo rispetto alle politiche ma non credo che ci sarà alcun exploit di partecipazione. Le ragioni sono sotto gli occhi di tutti.
Tutto in Calabria viene gestito per la sopravvivenza e non per la “vivenza”, intesa come normalità nella efficienza della macchina burocratica, nella risposta efficace ai problemi della popolazione. E tutto il peso da sempre è sulle spalle di quei pochi calabresi capaci di sacrificarsi nei rispettivi contesti lavorativi per dare alla baracca una parvenza di serietà civile innanzitutto e di conseguenza anche politica.
Non comprendere che il gioco delle sponde non giova alla crescita della civiltà della regione e che ci sarà sempre qualcuno a farsi carico delle esigenze personali dei calabresi che pretendono il favore personale e non il bene della comunità. Non comprendere che il contributo per uscire dalle sacche di arretratezza deve essere il più corale possibile significa condannare la nostra regione a rimanere per sempre nell'”Obiettivo Uno”. E, cioè, quelli che devono essere aiutati perché da soli non ce la fanno.
Ci vorrebbe quindi una classe dirigente, politica e non, capace di dialogare avendo come unico e solo obbiettivo lo sviluppo della regione attraverso la cura del bene comune. Tutto il resto è noia, ma una noia mortale.