In milioni hanno
marciato senza chiedersi il perché e il per dove.
Fuggitivi dalla violenza di una storia
senza tracce visibili se non per protagonisti uguali uno
all’altro mascherati da vestiti pomposi a mostrarsi maestosi.
Uguali pero al
loro destino di crudeli padroni di terre e di anime.
Un giorno dopo l’altro, asserviti,
senza curarsi del
trascorrere del tempo uguale a sé stesso, senza l’attesa di un
giorno che sarebbe venuto.
Gli occhi a terra gemendo solamente
quando la morte coglieva i loro piccoli e nulla più, finchè non
sarebbe calata la notte a confondere tutto, cielo terra e
silenzio.
Con la morte
degli innocenti era quell’altro della notte che segnava il
tempo.
Ma nel profondo di tanto silenzio un
altro sopravvenne, il silenzio dell’odio e dell’amore per un
grande sogno, il sogno di dare un senso alla propria esistenza.
Scompariva piano piano la
mortificazione per la perenne sconfitta della dignitàaffiorando finalmente il risentimento; gonfiava la nube e
nessun linguaggio, solamente il silenzio.
Ma questa volta i morti nei secoli,
anonimi fantasmi sempre presenti, finalmente parlavano della
morte e la raccontavano e gli occhi di lacrime densi armavano le
braccia protese finalmente alla ricerca di aiuto.
Durò quasi 40 anni e da poveri
contadini impararono a difendere la terra, fonte di
sopravvivenza, dissero basta ai padroni, gridandolo lasciarono
fare e si lasciarono dire, finchè la lunga marcia non li
convinse che non dai giapponesi dovevamo di più temere, ma dalla
sopraffazione dei padroni, essi stessi cinesi.
Commuove
l’immagine di una ciotola di riso sovrapposta alla folla
inquieta in cammino.
Il giorno è ormai
lungo e la luce sopravanza il rosso e i colori.
“Hai un sangue, un
respiro.
Vivi su questa terra.”
-Cesare Pavese-