Rosso Cinese
Da un bozzetto di Luigi Guardigli

Rosso Cinese

In milioni hanno marciato senza chiedersi il perché e il per dove.

Fuggitivi dalla violenza di una storia senza tracce visibili se non per protagonisti uguali uno all’altro mascherati da vestiti pomposi a mostrarsi maestosi.

Uguali pero al loro destino di crudeli padroni di terre e di anime. 

Un giorno dopo l’altro, asserviti, senza curarsi del  trascorrere del tempo uguale a sé stesso, senza l’attesa di un giorno che sarebbe venuto.

Gli occhi a terra gemendo solamente quando la morte coglieva i loro piccoli e nulla più, finchè non sarebbe calata la notte a confondere tutto, cielo terra e silenzio.

Con la morte degli innocenti era quell’altro della notte che segnava il tempo.

Ma nel profondo di tanto silenzio un altro sopravvenne, il silenzio dell’odio e dell’amore per un grande sogno, il sogno di dare un senso alla propria esistenza.

Scompariva piano piano la mortificazione per la perenne sconfitta della dignità  affiorando finalmente il risentimento; gonfiava la nube e nessun linguaggio, solamente il silenzio.

Ma questa volta i morti nei secoli, anonimi fantasmi sempre presenti, finalmente parlavano della morte e la raccontavano e gli occhi di lacrime densi armavano le braccia protese finalmente alla ricerca di aiuto.

Durò quasi 40 anni e da poveri contadini impararono a difendere la terra, fonte di sopravvivenza, dissero basta ai padroni, gridandolo lasciarono fare e si lasciarono dire, finchè la lunga marcia non li convinse che non dai giapponesi dovevamo di più temere, ma dalla sopraffazione dei padroni, essi stessi cinesi.

Commuove l’immagine di una ciotola di riso sovrapposta alla folla inquieta in cammino.

Il giorno è ormai lungo e la luce sopravanza il rosso e i colori.

 “Hai un sangue, un respiro.
Vivi su questa terra.”
-Cesare Pavese-

 

Franco Petramala