La crisi del PD in Calabria Di Giuseppe Aloise (Il Domani
d'Italia
del 27/02/2022)
Possiamo ancora definire la comunità dei democratici della
Calabria come partito “democratico”? Questo è l’interrogativo
che attraversa l’articolo. L’autore, già parlamentare della Dc e
sindaco di Cassano allo Ionio, affronta con realismo la crisi
del Pd in una regione che stenta a riconoscersi in una nuova e
robusta classe dirigente.
Giuseppe Aloise
Sul retro della copertina dell’ultimo pregevolissimo
lavoro del prof. Luciano Canfora dal titolo “La democrazia dei
signori” si legge testualmente: “Un assetto politico resta
democratico anche quando il “demo” se n’è andato? o si trasforma
in una democrazia dei signori?”. Restringendo l’osservazione al
Partito democratico calabrese, anche alla luce delle ultime
vicende congressuali vissute all’insegna dell’“andiamo al
congresso” come prospettiva liberatoria e rigeneratrice,
possiamo ancora definire la comunità dei democratici della
Calabria come partito “democratico”? oppure siamo in presenza di
una profonda trasformazione/mutazione in un “Partito dei
Signori”, anche se non nella perfetta accezione dell’emerito
professore barese ?
Per capire se il “demo”, ovvero se il popolo degli elettori
abbia cospicuamente abbandonato il Pd basta far riferimento alle
ultime tornate elettorali. Alle politiche del 2018 il Pd
registrò a livello nazionale un pesante calo di consensi, ma in
Calabria il crollo fu ancora più significativo, portando al
14,34% la percentuale elettorale. Fu un voto razionale di
protesta, che pure il gruppo dirigente rimosse come se non
investisse un sistema di governo; ossia, un sistema che aveva
prodotto la lacerazione del tessuto sociale della nostra regione
e allargato le diseguaglianze. Le elezioni regionali successive
del 2020 e del 2021 confermarono il crollo del Pd che nel 2020
si attestò sul 15% circa e nel 2021 sul 13 % circa.
La frattura con l’elettorato tradizionale è abbastanza evidente
e non è colmata dagli scarsi consensi raccolti dalle liste
collegate. Avrebbe meritato una riflessione il 16% raccolto
dalla coalizione di De Magistris, ma si è preferito discutere di
altro senza affrontare con lucidità e responsabilità la rottura
sentimentale con il proprio elettorato. Dunque il “demo” se n’è
andato e l’entità dei voti raccolti a fatica non giustifica la
pretesa di essere un partito centrale nello schieramento
politico locale. In Calabria residua ancora, nonostante
l’assenza del “demo”, l’illusoria pretesa di essere il partito a
vocazione maggioritaria, pensando così di realizzare la
cosiddetta alleanza “larga” avente come architrave “questo” Pd.
Fra l’altro, il termine “largo” dilaga nell’illusione che il
“civismo”, evocato da un partito regionale impermeabile a
pratiche partecipative, possa tuttavia allargare l’area del
consenso elettorale. È un errore, la risposta alla domanda di
“civismo” richiede ben altro!
Ora, quali sono le condizioni interne al PD? La rappresentazione
è facile scovarla nello svolgimento della fase congressuale,
quando in realtà si sono evidenziati tutti i limiti di una
struttura politico-organizzativa che lascia molto perplessi
sulle modalità delle appartenenze e sulla formazione del
consenso interno. Alla perdita di voti fa riscontro non tanto e
non solo il calo degli iscritti, quanto la scomparsa della
cosiddetta militanza. Alla fine, la votazione per la lista dei
delegati al congresso regionale ha segnato il momento simbolico
della caduta della partecipazione e dell’interesse della
cosiddetta base militante.
È innegabile quanto un lungo periodo di commissariamento abbia
inciso sulla vita interna del partito, dato che allo stato esso
non registra una dimensione associativa ed organizzativa
adeguata, come quella che normalmente legittima, per intenderci,
l’elezione di chi ne è chiamato a reggere le sorti. Appare del
tutto evidente che in fase congressuale si è pensato di
realizzare una sorta di legittimazione diretta che avrebbe
dovuto legare la leadership proposta e quel che resta della
base. Un tentativo di investitura carismatica ma in assenza
oggettiva dei presupposti che avrebbero potuto legittimarla
effettivamente, vale a dire al di là delle stesse qualità del
candidato. Tutto è stato vissuto, perciò, alla stregua di uno
sforzo burocratico, senza confronto e senza entusiasmo.
In conclusione, lo stato attuale del partito in Calabria
evidenzia una oggettiva mutazione che trova riscontro, in
negativo, nella penuria di consensi elettorali e nella caduta di
partecipazione organizzata, tanto da giustificare la definizione
del prof. Canfora: il Pd come “Partito dei Signori”. Ecco, una
volta poteva immaginarsi il partito dei “Signori delle tessere”
o delle correnti organizzate, adesso anche l’accezione “dei
Signori” risulta imperfetta. I nostri “Signori” forse sono stati
individuati dallo stesso Segretario regionale quando pochi mesi
addietro fece riferimento a feudi e feudatari “che giocano a
fare gli strateghi per garantirsi una poltrona”.
Credo, però, che il Segretario sia stato eccessivamente benevolo
nei confronti di chi controllava e/o controlla pezzi di partito:
la storiografia più attenta ha rivalutato il medio evo e le
organizzazioni feudali. I feudi del Pd sono, invece, ridotti a
fortilizi mal governati e in preda al caos. Il problema vero, a
questo punto, consiste nello smantellamento di una struttura
pietrificata che non permette aperture vere ai bisogni della
realtà calabrese. I prossimi mesi saranno decisivi per capire se
il congresso, come Mosca per le Sorelle di Cechov, sia stato
solo un’illusione per fuggire la cocente quotidianità o,
viceversa, abbia prodotto una reale inversione di rotta.