Gabriel García Márquez

Gabriel García Márquez

Scrivevamo su questo sito, più di un  anno fa, “Si congeda un Genio”.

Ed alla rapida rilettura di quella paradossale riflessione di Garcia Marquez rinviamo per intendere la genialità dello scrittore colombiano, colombiano per nascita e sudamericano per cultura sua, che cercò di sintetizzare ciò che riusciva a percepire del suo mondo sudamericano.

Quel mondo come rappresentato da Garcia Marquez somigliava al mondo europeo e non solamente per le ascendenze culturali comuni e straordinariamente simili alle estroversioni del ‘600 europeo. Semplicemente sono sensibilità universali.

Il 17 aprile Garcia Marquez si è congedato davvero con la sua morte.

Pubblichiamo uno stralcio dell’inizio di “Cronaca di una morte annunciata” un testo fra i più significativi della ricerca di invenzione e di linguaggio del Premio Nobel per la Letteratura del 1982. 

 

 Gabriel García Márquez.

CRONACA DI UNA MORTE ANNUNCIATA.

Traduzione di Dario Puccini.

ARNOLDO MONDADORI EDITORE 1982

  Il giorno che l'avrebbero ucciso, Santiago Nasar si alzò alle 5,30 del mattino per andare ad aspettare il bastimento con cui arrivava il vescovo. Aveva sognato di attraversare un bosco di "higuerones" sotto una pioggerella tenera, e per un istante fu felice dentro il sogno, ma nel ridestarsi si sentì inzaccherato da capo a piedi di cacca d'uccelli. «Sognava sempre di alberi» mi disse sua madre 27 anni dopo, nel rievocare i particolari di quel lunedì ingrato. «La settimana prima aveva sognato di andare solo soletto in un aereo di carta stagnola che volava senza mai trovare ostacoli in mezzo ai

mandorli» mi disse. Plácida Linero godeva di una ben meritata fama di sicura interprete dei sogni altrui, a patto che glieli raccontassero a digiuno, ma non aveva riscontrato il minimo segno di malaugurio in quei due sogni di suo figlio, né negli altri sogni con alberi che lui le aveva riferito nei giorni che precedettero la sua morte.

Neppure Santiago Nasar riconobbe il presagio. Aveva dormito poco e male, senza nemmeno spogliarsi, e si svegliò con il mal di testa e con un residuo sapore di staffe di rame sul palato, e li interpretò come inconvenienti naturali della gran festa di nozze che si era prolungata fin oltre la mezzanotte. Di più: le numerose persone che incontrò sul suo cammino da quando uscì di casa alle 6,05 fino a quando venne squartato come un maiale un'ora dopo, lo ricordavano un po' insonnolito ma di buon umore, e a tutti fece notare in un modo abbastanza casuale che si trattava d'una bella giornata. Nessuno avrebbe giurato che alludesse alle condizioni del tempo. Molti coincidevano nel ricordare che era una mattina scintillante percorsa da una brezza marina che arrivava attraverso i bananeti, come era da supporre dovesse essere in un perfetto febbraio di quell'epoca. Ma i più erano concordi nel dire ch'era un tempo funereo, con un cielo torbido e basso e un denso odore d'acque stagnanti, e che nel momento della disgrazia veniva giù una pioggerella minuta come quella che aveva visto Santiago Nasar nel bosco del suo sogno. Io mi stavo rimettendo dai bagordi del pranzo di nozze nel grembo apostolico di Maria Alejandrina Cervantes, e avvertendo il baccano delle campane che suonavano a martello neppure apersi gli occhi, perché pensai che le avevano sciolte in onore del vescovo.

Santiago Nasar indossò un paio di pantaloni e una camicia di lino bianco, né gli uni né l'altra inamidati, e uguali a quelli che s'era messo il giorno prima per le nozze. Era un abbigliamento da grande occasione. Se non fosse stato per l'arrivo del vescovo avrebbe indossato il vestito cachi e gli stivali da cavallo con cui andava ogni lunedì al "Divino Rostron", la fattoria con allevamento di bestiame che aveva ereditato da suo padre, e che amministrava con molto senno anche se con pochissima fortuna. In campagna metteva alla cintura una 357 Magnum, i cui proiettili blindati, a quanto diceva lui, potevano spaccare un cavallo a metà. In epoca di pernici portava anche la sua attrezzatura da caccia. Nell'armadio teneva inoltre un fucile 30,06 Malincher Schonauer, un fucile 300 Holland Magnum, un 22 Hornet con mirino telescopico a due comandi, e una Winchester a ripetizione. Dormiva sempre come aveva dormito suo padre, con l'arma nascosta dentro la federa del cuscino, ma quel giorno prima di lasciare la casa ne tolse via i proiettili e la mise nel cassetto del comodino. «Non la lasciava mai carica» mi disse sua madre. Io lo sapevo, e sapevo anche che riponeva le armi in un posto e nascondeva le munizioni in un altro molto appartato, in modo che nessuno neanche per caso cedesse alla tentazione di caricarle dentro casa. Era un'abitudine assennata che aveva stabilito suo padre da quando una mattina una domestica scosse il cuscino per togliere la federa, e la pistola lasciò partire un colpo nell'urtare contro il suolo, e la pallottola distrusse l'armadio della camera, attraversò la parete del salotto, passò con fracasso di guerra per la camera da pranzo della

casa vicina e ridusse in polvere di gesso un santo di dimensioni naturali sull'altare maggiore della chiesa, all'altro estremo della piazza. Santiago Nasar, che a quel tempo era molto piccolo, non dimenticò mai la lezione di quella disavventura.

L'ultima immagine che sua madre conservava di lui era quella del suo passaggio fugace nella sua camera da letto. L'aveva svegliata mentre cercava di trovare a tentoni una aspirina nell'armadietto del bagno, e lei accese la luce e lo vide comparire sulla porta con il bicchiere d'acqua in mano, come doveva ricordarlo per sempre. Santiago Nasar le raccontò allora il sogno, ma lei non fece caso agli alberi.

«Tutti i sogni con uccelli sono di buon augurio" disse.

Lo vide dalla stessa amaca e nella stessa posizione in cui la trovai prostrata dalle ultime luci della vecchiaia, quando tornai in questo paese dimenticato per cercare di ricomporre con tante schegge sparse lo specchio rotto della memoria.

 Era molto se riusciva a distinguere le forme in piena luce, e teneva foglie medicinali sulle tempie per il dolore di testa eterno che le aveva lasciato il figlio l'ultima volta ch'era passato per la sua camera.

Era coricata sul fianco, aggrappata alle corde d'agave del capezzale dell'amaca per cercare di tirarsi su, e c'era nella penombra l'odore di battistero che mi aveva sorpreso la mattina del delitto.

Appena comparvi sul vano della porta mi confuse con il ricordo di Santiago Nasar.  Era proprio lì» mi disse. «Aveva il vestito di lino bianco lavato con sola acqua, perché era di pelle così delicata che non sopportava il rumore dell'amido.» Rimase per un lungo tratto seduta sull'amaca, masticando semi di cardamina, finché svanì l'illusione che fosse tornato suo figlio. Allora sospirò: «E' stato l'uomo del la mia vita».

Io lo rividi nella sua memoria. Aveva compiuto 21 anni l'ultima settimana di gennaio, ed era agile e pallido, e aveva le palpebre arabe e i capelli ricciuti di suo padre. Era il figlio unico di un matrimonio di convenienza che non ebbe un solo istante di felicità, ma egli sembrava felice con suo padre finché questi morì d'improvviso, tre anni prima, e continuò a sembrarlo con la madre solitaria fino al lunedì della sua morte. Da lei aveva ereditato l'istinto. Da suo padre aveva appreso fin da molto piccino la padronanza delle armi da fuoco, l'amore per i cavalli e per l'addestramento degli uccelli d'alta preda, ma da lui apprese anche le buone arti del coraggio e della prudenza. Parlavano arabo tra loro, ma non in presenza di Plácida Linero perché non si sentisse esclusa.

Non li si era mai visti armati dentro il paese, e l'unica volta che esibirono i loro falchi ammaestrati fu per dare una dimostrazione di falconeria in un bazar di beneficenza. La morte di suo padre lo aveva costretto aa abbandonare gli studi al termine della scuola secondaria, per assumersi l'onere dell'azienda familiare. Per meriti propri, Santiago Nasar era allegro e pacifico, e di cuore spensierato.

Il giorno in cui l'avrebbero ucciso, sua madre credette che si fosse sbagliato di data quando lo vide vestito di bianco. «Gli ricordai che era lunedì» mi disse. Ma lui le spiegò che si era vestito in abito da cerimonia nel caso avesse avuto l'occasione di baciare l'anello al vescovo. Lei non mostrò il minimo segno d'interesse.

"Non scenderà neppure dal bastimento" gli disse. "Manderà una benedizione di convenienza, come sempre, e se ne tornerà da dove è venuto. Odia questo paese."

Santiago Nasar sapeva che era proprio così, ma i fasti della chiesa avevano per lui un'attrazione irresistibile. «E' come il cinema» mi aveva detto una volta. A sua madre, invece, l'unica cosa che premeva dell'arrivo del vescovo era che il figlio non si dovesse bagnare sotto la pioggia, poiché l'aveva sentito starnutire mentre dormiva. Gli consigliò di portare un ombrello, ma egli le fece un cenno di addio con la mano e uscì dalla stanza. Fu l'ultima volta che lo vide.