Molte
le celebrazioni del centenario della “Lettera ai liberi e ai
forti” e della fondazione del Partito Popolare. Dibattiti sui
valori, la voglia di tensione morale, il meridionalismo, la
rivendicazione del ruolo degli Enti locali nell’opera del prete
siciliano.
Ma interessante è ricordare cosa avversava Sturzo?
Era avversario del Sudismo, di quella malattia endemica del
mezzogiorno, cioè del piagnisteo
neoborbonico di chi “vagheggia il ritorno a un buon tempo andato
che non è mai esistito, e vede i mali solo e sempre altrove (nel
nord, a Roma, a Bruxelles o a Francoforte), emendando di fatto
le responsabilità delle élite meridionali” come qualcuno ha
sostenuto anche di recente.
Il suo sogno era “che noi del meridione possiamo amministrarci
da noi, da noi designare il nostro indirizzo finanziario,
distribuire i nostri tributi, assumere la responsabilità delle
nostre opere, trovare l’iniziativa dei rimedi ai nostri mali ...
non siamo pupilli, non abbiamo bisogno della tutela interessata
dei fratelli del nord ... seguiremo ognuno la nostra via
economica, amministrativa e morale nell’esplicazione della
nostra vita” (22 dicembre 1901).
E’ poco? Non credo, è la sostanza del meridionalismo maturo.
Si da il caso che l’attualità politica ed istituzionale ci dia
lo spunto di un nuovo regionalismo che rivendica più poteri e
più competenze in capo alle Regioni.
La vicenda risale al 1999 e al 2001 e al 2017, quindi fuori dal
quadro attuale, allorchè si approvarono leggi costituzionali (
la riforma del Titolo quinto della Costituzione ) e si
realizzarono intese fra i Governi e le Regioni Veneto Lombardia
Emilia Romagna.
Adesso siamo al dunque della intesa da codificare. Se le Regioni
meridionali o la Calabria resterà fuori, dimostreremo ancora una
volta la inconciliabilità storica di Nord e Sud perdendo la
occasione di regolare al meglio la organizzazione della Sanità (
quanto ne avremmo bisogno!!) dell’ambiente (quanto ne avremmo
bisogno!), dei servizi scolastici e culturali e delle politiche
del lavoro e dello sviluppo economico selettivo ed appropriato (
quanto ne avremmo bisogno!).
Certamente le Regioni che hanno fatto le prime richieste del
nuovo regionalismo hanno il vantaggio della loro ricchezza e
quindi del sostegno finanziario alle nuove competenze, ma se
rimaniamo fuori da quella logica, scarsi saranno gli argomenti
per condizionare la distribuzione delle entrate dello Stato da
attribuire alle istituzioni sul territorio, a cominciare dal
fondo perequativo pur previsto. L’alternativa è di non proporsi
in un rinnovato spirito autonomista, subire iniziative altrui,
nell’attesa senza speranza della consumazione lenta del declino
inesorabile.
Forse sarebbe questo il modo migliore per ricordarci di Don
Luigi Sturzo, della sua opera fatta di abnegazione e
convinzione, del suo
coraggioso meridionalismo.
Sarà utile aprire un dibattito aperto sui temi del nuovo
regionalismo e sarà utile un momento organizzativo per
approfondire non solamente il regionalismo differenziato ma
anche le prospettive della politica dei tempi nuovi.