il Fondino del 09 Gennaio 2019

 Sturzo e il Sudismo

Molte le celebrazioni del centenario della “Lettera ai liberi e ai forti” e della fondazione del Partito Popolare. Dibattiti sui valori, la voglia di tensione morale, il meridionalismo, la rivendicazione del ruolo degli Enti locali nell’opera del prete siciliano.

Ma interessante è ricordare cosa avversava Sturzo?

Era avversario del Sudismo, di quella malattia endemica del mezzogiorno, cioè del piagnisteo neoborbonico di chi “vagheggia il ritorno a un buon tempo andato che non è mai esistito, e vede i mali solo e sempre altrove (nel nord, a Roma, a Bruxelles o a Francoforte), emendando di fatto le responsabilità delle élite meridionali” come qualcuno ha sostenuto anche di recente.

Il suo sogno era “che noi del meridione possiamo amministrarci da noi, da noi designare il nostro indirizzo finanziario, distribuire i nostri tributi, assumere la responsabilità delle nostre opere, trovare l’iniziativa dei rimedi ai nostri mali ... non siamo pupilli, non abbiamo bisogno della tutela interessata dei fratelli del nord ... seguiremo ognuno la nostra via economica, amministrativa e morale nell’esplicazione della nostra vita” (22 dicembre 1901).

E’ poco? Non credo, è la sostanza del meridionalismo maturo.

Si da il caso che l’attualità politica ed istituzionale ci dia lo spunto di un nuovo regionalismo che rivendica più poteri e più competenze in capo alle Regioni.

La vicenda risale al 1999 e al 2001 e al 2017, quindi fuori dal quadro attuale, allorchè si approvarono leggi costituzionali ( la riforma del Titolo quinto della Costituzione ) e si realizzarono intese fra i Governi e le Regioni Veneto Lombardia Emilia Romagna.

Adesso siamo al dunque della intesa da codificare. Se le Regioni meridionali o la Calabria resterà fuori, dimostreremo ancora una volta la inconciliabilità storica di Nord e Sud perdendo la occasione di regolare al meglio la organizzazione della Sanità ( quanto ne avremmo bisogno!!) dell’ambiente (quanto ne avremmo bisogno!), dei servizi scolastici e culturali e delle politiche del lavoro e dello sviluppo economico selettivo ed appropriato ( quanto ne avremmo bisogno!).

Certamente le Regioni che hanno fatto le prime richieste del nuovo regionalismo hanno il vantaggio della loro ricchezza e quindi del sostegno finanziario alle nuove competenze, ma se rimaniamo fuori da quella logica, scarsi saranno gli argomenti per condizionare la distribuzione delle entrate dello Stato da attribuire alle istituzioni sul territorio, a cominciare dal fondo perequativo pur previsto. L’alternativa è di non proporsi in un rinnovato spirito autonomista, subire iniziative altrui, nell’attesa senza speranza della consumazione lenta del declino inesorabile.

Forse sarebbe questo il modo migliore per ricordarci di Don Luigi Sturzo, della sua opera fatta di abnegazione e convinzione,  del suo coraggioso meridionalismo.

Sarà utile aprire un dibattito aperto sui temi del nuovo regionalismo e sarà utile un momento organizzativo per approfondire non solamente il regionalismo differenziato ma anche le prospettive della politica dei tempi nuovi.

Franco Petramala