Quello
che una volta si chiamava la borghesia ed il ceto benestante,
non è vero che si sia dissolto perché divenuto molto debole: è’
un luogo comune.
I “poveri
cristi” avevano a fatica raggiunto benessere e certezze nel
futuro mentre oggi sono ridiventati poveri, a volte molto
poveri.
I
benestanti, come felici emigranti, hanno preso il volo da tempo
affidando i loro più immediati interessi ad un ceto politico
falsamente popolare, spesso abile solamente nell’arte del
ladroniggio, compenso per il loro impegno di sostituti.
Contemporaneamente tutto ciò che era “bene comune” sta svanendo
( stato sociale, lotta per la piena occupazione, sviluppo,
welfare… per esempio), e si ampliano le disuguaglianze sociali e
territoriali e le periferie urbane e rurali languono nel bisogno
di tutto, specialmente nel Mezzogiorno.
Private di ogni potere economico e politico le classi popolari
sono destinate ad uscire dalla storia.
Tuttavia insieme ad esse anche per la borghesia di sopra vale
l’episodio del Menenio Agrippa antico romano, poichè si è aperta
l’epoca della decadenza di tutti, proprio di tutti.
Sono le periferie a doversi impegnare per sollecitare in maniera
autentica l’emergere di una nuova rinascenza dei valori etici
della politica e delle rivendicazioni popolari che riguardino
l’intera società.
Non recuperando superati criteri di distinzione ma interpretando
ruoli e prospettive di maturità politica fatta di speranze in
contesti moderni, riformatori quanto si vuole, ma custodi delle
conquiste etiche e di civiltà che sono nostre.